Elogio ad ogni provocazione

I

Sarebbe così difficile, al punto di diventare “intellettuale” o muto, non dire niente? Interrogo un pollo e non trovo che un uovo, che non è quello di Colombo. Quest’uovo, lo fai cuocere e ricuocere, “finché non sia duro”. Mio povero Vincenzo. Quanto rimpiango la tua presenza.

II

I miei minuti sono contati e scrivo sulle tue notti. Il pubblico italiano sarà perplesso e, lo spero, quasi esasperato. Noblesse oblige, perchè non ho un titolo con cui tu possa indirettamente gratificarmi. Come stanno i tuoi volatili? E i tuoi conigli? Per restare sordi ci siamo forgiate delle orecchie “insonorizzate”.

III

Penso che tu ignori ciò che distrae il mio pensiero. I nostri lontani infiniti sono spesso molto luminosi. Molto semplicemente, lei si chiama Anna.
Il mistero di Monna Lisa, di cui non mi spiego l’esistenza, mi è oscuro come quello delle trappole che hanno affascinato Gauguin (gran crapula di pittore, ma ottimo cartellonista per la S.N.C.F. e i Clubs Mediterranés).
Tu, Vincenzo, lanci del rosa e del blu senza sfumature; Il tuo rosa è per “taci” e il tuo blu non sarebbe stato più spesso di quello su cui scrivendo la parola “cielo”, Magritte segnalava che “là”, meno ancora di “qui”, non è né sarà mai una pipa. Impregniamoci lo spirito di questa verità. I tuoi palmizi, privati delle loro scimmie, sono sterili. Sino a dove non si andrebbe a cercare il criterio di una impossibile perfezione? Oserei forse svelarlo? Ho messo tanta passione a far tremare il mio gesto che qualsiasi segno diritto si affolla. Rigidi problematici, noi non avremo che da aspettare l’eco moroso dei nostri fremiti; Anna e Betty, che importa, due nomi che pronuncio nella nebbia e che sarebbero state per noi i colpi dei nostri pennelli.

IV

Facciamo il punto, nell’oscurità delle nostre camere. Tu vivi in Italia, dove si inventa quella strana maniera di vedere alla rovescia. Sfidiamo l’elettricità. In Italia, non ci sono pittori – solo un po’ di sole – un popolo povero e nudo (mi fa male a parlarne) e viviamo di Olandesi e di Fiamminghi che sono venuti da voi. Non amo niente di nudo, amo Canaletto. Non amo Venezia. “Vi aleggia uno strano vuoto”.
Vermeer, per esempio. Dove sono le trasparenze? Allora mettiamoci un po’ a discutere. Silenzio, una parola basta. Ultima indifferenza…
Omaggio a Prévert. Raccogliamo le nostre foglie morte e tendiamo la mano a Verlaine. Si trascina nei ruscelli. Con calma e dolcemente, sulla punta dei piedi, vogliamo (ma sempre il passato ci prende) che la CRITICA indietreggi positivamente. In questo caso, Vincenzo, ti rimando indietro, al Quattrocento o più lontano ancora: Torcello sei stato e Torcello rimani, all’epoca in cui non ero io stesso che Alcibiade (abbiamo bevuto numerosi morti e mangiato roditori). Non parliamo delle ciglia, i cui battiti mi allarmano. Festa di ciò che io chiamo anima o cuore o mia Anna, un biologico e epidermico fremito di volontà, la virtù di essere “QUA”!!! Siamo capaci di capitalizzare un gran numero di esistenze al passivo, di considerare perdita o profitto così tante disfatte, che non avremo ancora finito di dipingere e scrivere ancora e insieme.

J. Raine

Testo critico scritto da Jean Raine in occasione della personale di Vincenzo Torcello alla galleria d’arte La Cornice, Cassino, 1974.