Quale privilegio è stato di avere avuto un amico generoso, senza ombre o gelosie, sempre pronto a lavorare per un bene comune. Jean operava sui bordi, a volte in modo drammatico, rifuggiva il grigio e i compromessi. Di lui, oltre alla fragorosa risata, che già di per sé era una risposta, ricordo il suo grande amore per i gufi; amava anche il mare ed i paesaggi delle fiandre ed ancor di più ne amava le nuvole che prendevano vita nei suoi occhi e nelle sue mani. Nelle sue conversazioni, serie ma anche molto divertenti, faceva continuo riferimento ad un olimpo di autori preferiti, con precise citazioni, come per aggiungere sale e pepe o per rendere umana la sua grande onestà intellettuale. La sua intelligenza sembrava non conoscere né limiti né fondo e per questo motivo credo, un po’ per erudizione, un po’ per sensibilità, che conoscesse molti segreti della natura intesa in senso ampio. Come qualcuno ha detto, la natura rifugge il vuoto, ed in fondo ripensando ai suoi quadri, oggi li vedo come pezzi di natura, espressioni della sua forza, che senza sosta si corrompe e si trasforma insieme al nostro stupore.
Questa forza ha in sé un lato terribile e fantastico, se la consideriamo nell’insieme del suo processo di distruzione e costruzione, di cui Jean era uno specchio fedele, sul quale tracce vulcaniche di magma si depositavano insieme a vaghe immagini, riflesso di un’unica linfa che pareva connessa all’intero respiro dell’universo. Tutto ciò rompe dei limiti culturali che fanno diga, operando nel cuore stesso del problema, senza eluderlo con intellettualismi e concettualismi.
Per millenni l’uomo è riuscito a controllare caos e ordine attraverso piramidi e templi o attraverso il bel concetto di vuoto che ben argina in sé il paradosso; oggi è difficile ritrovare tutto questo nel suo valore originario. La spinta del mondo globale, con la sua accelerazione esponenziale, ha creato una frattura. Per ritrovare un’unità di intenti che abbia profonde radici, è probabile che non si possa eludere l’urgenza di sviluppare una coscienza di vera partecipazione. Oggi le cose fluiscono come fossero impastate nei nostri sogni, che hanno ormai infiniti mezzi per esprimersi. È forse questa la nostra sfida, poter gestire il nuovo rapporto tra caos e ordine su di un’altra frequenza e con altri codici. Jean aveva ben chiari questi problemi, la sua audacia è di aver immaginato di percorrere un viaggio dentro al pulsare dell’energia stessa, così come noi la concepiamo, un po’ come Jules Verne lo ha fatto dentro ai mari. Viaggio non privo di pericoli e di seri rischi; questo spiega il lato tragico e fantastico della sua vita come conseguenza del suo ardore; per questo motivo che cercherò di tener fermo il filo conduttore della traccia che le nostre conversazioni e il lavoro svolto insieme hanno lasciato in me, per non perdermi nel fiume di una vita che ha dello straordinario, e che necessita di ben altri approfondimenti. Jean aveva una grandissima curiosità per tutti gli aspetti del vivente, ne conosceva la grande fragilità, e forse da questo derivava un certo suo pessimismo. Ciò nonostante egli sapeva essere pragmatico e realista, pur rimanendo fermo sulle sue radici socratiche. Amava la scienza, e a questa faceva riferimento per ancorare i suoi pensieri, per poi lasciare l’ancora e iniziare il suo viaggio.
Jean Raine non ha avuto in vita il riconoscimento dovuto, anche perché il proliferare nel dopoguerra di artisti e scrittori, che pensavano che ridere e banchettare potesse salvare il mondo, non è stato per lui d’aiuto. Vi era in loro, per quanto mi possa ricordare, un certo modo infantile di considerare il diverso e di alienarlo in quanto portatore di un pericolo. La leggerezza è una grande cosa e nessuno nega che l’umorismo possa aiutare il mondo a ritrovare la sua salute; ma sono convinto insieme a Jean, che ciò non si deve contrapporre alla profondità, ma essere semplicemente l’ala della gravitas.
La drammaticità del nostro momento storico ci aiuta a capire tutto questo, insieme al valore della sua opera, poiché la sua sensibilità ha precorso i tempi lasciando serie proposte e seri moniti. Per avvicinarsi a Jean credo che si debba partire dalla grande autenticità delle sue immagini e di come esse si rapportano con umorismo e spirito scientifico alle forze esteriori ed interiori che ci abitano.
Ricordo due fasi importanti nella sua opera; una in cui queste forze lo popolano, lo scuotono e dove la sigla J. R. si trasforma in vela, ora grande ora piccola, e ci dice che lui è ancora lì a lottare dentro al mare in tempesta. L’altra, che ho avuto occasione di vedere nel mio ultimo viaggio a Lione, dove lui da la sua risposta e si connette. Lo spazio si rarefà e il suo bel segno spiritualizza una materia che era stata incandescente. La sua urgenza spesso drammatica si dissipa, e lui può aver conferma di essere già a casa.
Un particolare grazie a Sanky per il suo paziente e prezioso lavoro e per essere stata per noi un solido punto di riferimento.
Vincenzo Torcello
San Casciano In Val di Pesa
15 febbraio 2015